Quotes in Tamil

சிருஷ்டிகளை எவ்வளவுக்கு அதிகமாய் நேசிப்போமோ அவ்வளவுக்கும் சர்வேஸ்வரனை அற்பமாய் நேசிப்போம்

- அர்ச். பிலிப்புநேரி

"சிருஷ்டிகளில் நின்று உங்களிருதயத்தை யகற்றி, கடவுளைத் தேடுங்கள். அப்போது அவரைக் காண்பீர்கள்

- அர்ச். தெரேசம்மாள் -

சர்வேஸ்வரனுக்குச் சொந்தமாயிராத அற்ப நரம்பிழை முதலாய் என்னிருதயத்தில் இருப்பதாகக் கண்டால் உடனே அதை அறுத்து எறிந்து போடுவேன்

- அர்ச். பிராஞ்சீஸ்கு சலேசியார்

சனி, 8 பிப்ரவரி, 2025

La Nuova Teologia Sguardo d'insieme alla luce dell' Enciclica « Humani generis >>

 


SUMMARIUM. Post encyclicam Humani generis» («AAS», 1950, 561-578), quae nuperrime in lucem prodiit, qua nonnullae modernae doctrinales deviationes denunciantur, opportunum visum est A. resumere, perficere, ac rursus in lucem edere, dissertationem anno 1947 in Facultate Kurulitana habitam, sub initio anni 1949 in Ciencia y Fe editam, et cum placitis recentis documenti pontificii feliciter consonantem. Qua dissertatione tria proponuntur: 1) quaeritur unde enascatur et quid sit sic dicta nova theologia. Cui quaestioni respondetur novam theologiam enasci ex desiderio inveniendi viam aptam vivificandi disciplinas theologicas, nisumque esse faciendi hoc ipsum; 2) aliquid innuitur circa disceptationem, quae superioribus annis inter theologos viguit, praesertim inter R. P. Garrigou-Lagrange et R. D. De Solages; 3) nonnulli errores illustrantur, quos fautores novae theologiae introducunt; videlicet: relativismus dogmaticus, irenismus, antischolasticismus et supernaturalismus Henrici de Lubao. Nihil dicitur, vero, de polygenismo, de peccato originali aliisque quaestionibus, ne dissertatio nimis prolixa evadat. Quapropter nova theologia, concludit A., reprobanda est, cum tot errores genuerit. Tamen meritum habet illustrandi necessitatem praeservandi theologiam a phaenomeno « fossilizationis, quo, ob defectum actualitatis in proponenda revelatione, Regno Christi magnum detrimentum eveniret.

 

Nella vita e nella cultura medioevale teneva il primato la teologia. Essa permeava ogni attività dell'uomo e suggeriva non solo le inarrivabili altezze speculative di Tommaso d'Aquino, ma anche la magnificenza delle cattedrali, lo splendore delle feste religiose e soprattutto l'amore, la santità e la poesia. L'uomo moderno invece è preso da un vertiginoso movimento d'infinite attività; ma, se gli domandate il perchè di tanto moto, non sa rispondervi. Gli manca la luce, che gli additi un fine tra scendente; gli manca un principio, che unifichi e sintetizzi i rami molti plicati a dismisura della sua cultura e delle sue arti; e invano invoca ipotesi assurde per spiegare il mistero del mondo. Siamo cioè di fronte ad una rottura tra Dio e l'uomo, tra la scienza e la sapienza, tra la teo logia e la vita.

Perciò è urgente la necessità di rendere la teologia viva e vivente[i] per nuovamente ingranare in essa ogni attività umana; affinchè sotto la sua luce, che è la luce della Parola illuminatrice di ogni uomo che viene in questo mondo, l'uomo moderno possa uscire dalle sue tenebre e dal caos. Ma qui appunto nasce un difficile problema.[ii]

Come si può portare la teologia all'uomo moderno, specialmente all'uomo della cultura? Il mondo moderno si è immerso nella materia e nel frastuono delle sue parole. Non intende più il linguaggio astratto al quale si appassionavano gli uomini del medioevo; egli è estremamente attaccato alle sue conquiste, ed è estremamente sensibile non solo a qualsiasi ignoranza di esse, ma anche alle minime espressioni di disistima o di disinteresse. Come potrà quindi la teologia diventare viva e vi vente se continua a rintanarsi nei conventi e nei seminari, sempre ostinata al metodo scolastico, lontana e avulsa dalla vita del tempo e dalla cultura moderna? S'impone perciò una teologia nuova, cioè una teologia che s'adatti all'uomo moderno, davanti alla quale egli non volti le spalle con disgusto.

Sotto l'influsso di tali considerazioni, in questi ultimi anni, soprat tutto in Francia, si è determinato un movimento teologico, che ora è conosciuto sotto il nome di Nuova Teologia.[iii]

Già S. S. Pio XII, nel 1946, usava questa espressione per designare la nuova corrente teologica, mettendo in guardia da false direzioni, nei due discorsi tenuti rispettivamente alla Congregazione Generale della Compagnia di Gesù e al Capitolo Generale dell'Ordine dei Domenicani.[iv]

Sulle riviste teologiche apparvero, negli scorsi anni, articoli e polemiche al riguardo; e noi stessi ebbimo occasione di pubblicare due anni fa uno studio, che nel 1947 ci era servito come prolusione all'apertura dell'anno accademico nella Facoltà Teologica di Cuglieri e che ora ripubblichiamo aggiornato ed ampliato.[v]

Ma l'attenzione sul nuovo indirizzo teologico si acuì decisamente, quando cominciò a circolare la notizia che il P. Generale della Compagnia di Gesù aveva rimossi dall'insegnamento i PP. Bouillard, Delay, Durand, Ganne e de Lubac (quest'ultimo era anche tolto dalla direzione di « Recherches de science religieuse »); e che il Vaticano, come si esprimeva il « Giornale d'Italia», era disposto «a reagire vivamente contro certe tendenze teologiche che si affermano in alcuni ambienti religiosi e di professori francesi».[vi]

L'enciclica Humani generis non fu quindi una sorpresa se non per la maestria con cui conciliava mirabilmente insieme la forza e la bontà: l'errore veniva chiaramente individuato e proscritto, senza precidere la via del progresso e senza calcare la mano sugli erranti, ai quali si agevolava così la sottomissione alle direttive del Magistero Apostolico.

Alla luce del recente documento pontificio cadono tante illusioni ed incertezze. Più facilmente si può guardare alla nuova teologia con la possibilità di una valutazione sicura. Non sarà quindi privo d'interesse questo modesto sguardo d'insieme, sotto la guida dell'Humani generis, nel quale di proposito tralasciamo alcune questioni, come quella del peccato originale e del poligenismo, per non dilungarci troppo. Tutto lo studio sarà diviso in tre parti: nella prima vedremo donde nasce la nuova teologia e che cosa sia; nella seconda accenneremo alla polemica[vii] tra il P. Garrigou-Lagrange e Mons. De Solages; e nella terza esamine remo alcuni errori più importanti nati in seno al nuovo orientamento teologico. Infine faremo seguire una bibliografia quasi completa sull'argomento come sussidio per chi volesse ulteriormente interessarsene.

 

I. DONDE NASCE LA NUOVA TEOLOGIA E CHE COSA È.[viii]

 

La teologia nuova nasce dal bisogno di rituffare il mondo nel divino, da cui si è separato. Essa vorrebbe ridare Dio al mondo e il mondo a Dio. Da questo bisogno fondamentale del mondo moderno sono determinate tre preoccupazioni principali: la preoccupazione del metodo in teologia; la preoccupazione di raggiungere la massa; la preoccupazione di raggiun gere gli uomini della cultura.[ix]

a) La preoccupazione del metodo. L'assenteismo teologico del mondo moderno non è forse causato da un difetto di metodo? Già il protestantesimo e più tardi il razionalismo e il modernismo imputavano alla scolastica di aver inaridite le fonti della teologia, mediante lo schemati smo esagerato e l'astrattismo. Anche autori cattolici s'associano in parte a questa accusa. Il P. de Montcheuil scrive: «En maniant les vérités les plus valables et les plus actuelles, la théologie donne une impression d'ab sence et d'irréel >>.[x]

Frutto benefico di questa accusa, molte volte infondata e quasi sempre esagerata, fu l'incremento progressivo della teologia positiva e della teologia biblica. Soprattutto dopo le accesissime dispute moderniste, la Francia ha dato una copiosa ed eccellente letteratura teologica d'indirizzo positivo. Basti fare i nomi del Lebreton, del Lagrange, del Batiffol, del Prat, del D'Alès, del Galtier, del Mersch. La Bibliothèque catholique des sciences religieuses e varie riviste francesi volgarizzarono e volgariz zano i risultati ottenuti e i metodi seguiti nelle indagini positive teologiche.

Evidentemente però l'indirizzo positivo dato alla teologia presen tava un pericolo di sconfinamento non solo verso una minore stima della scolastica, ma addirittura verso la sfiducia in ogni forma di teologia speculativa chiamata genericamente « teologia delle conclusioni». Ab biamo allora le opere dello Chenu: Une école de théologie, e del Char lier: Essai sur le problème théologique, 10 che furono messe all'indice con decreto del S. Officio del 6 febbraio 1942.11 Senza la virulenza di questo movimento antiscolastico, ma non meno seriamente, il Bouillard, il Daniélou, il de Lubac ed altri francesi dubitarono del valore della teologia speculativa di fronte al problema e all'urgenza della vivificazione e risto razione della teologia nel mondo moderno. [xi]

La teologia, secondo il modo di esprimersi del P. Daniélou, ha biso gno di fare di Dio non un oggetto mummificato di speculazione, ma un soggetto, dal quale l'uomo moderno possa attingere illuminazione e vita in ogni sua attività.[xii]

La teologia nuova nasce quindi dalla sfiducia nell'astrattismo scolastico e dalla preoccupazione di trovare un metodo più concreto e più rispondente ai tempi moderni. Anzi essa avrebbe l'ambizione di diven tare appunto la nuova via, quella cioè adatta a raggiungere l'uomo di oggi.

b) La preoccupazione di raggiungere la massa. Difatti ciò che oggi maggiormente colpisce è l'allontanamento delle masse dalle sorgenti della fede: l'ignoranza della fede è estesissima e la pratica della vita cristiana ancora più ristretta, « Nous sommesscrive il Rouquette dans un état d'irréligion sociale presque totale: toutes les structures de la cité sont devenues païennes, non seulement les institutions, mais aussi les conditions de vie, les jugements de valeurs collectifs, les cadres économiques et sociaux; c'est au point qu'aujourd'hui, pour un homme de la masse, il devient héroïque de vivre l'esprit de l'Evangile et même de pratiquer la loi naturelle ».[xiii] Questo doloroso fatto non è dovuto all'astrattismo di mille questioni inutili, con cui sono formati quelli che debbono poi annunziare la Parola del Regno? Non è dovuto al fatto che la Chiesa Cattolica ha mancato alla sua vocazione per soverchio attac camento ai metodi di studio e di apostolato di altri tempi, per cui i cosidetti paesi cattolici sono inselvatichiti al punto da essere diventati in larghe zone terra di missione?

Ma più importante della questione delle responsabilità, che cosa si deve fare per raggiungere le masse fuorviate? Non è il caso di incominciare una nuova teologia, che abbia appunto di mira l'annuncio della Parola, che liberi cioè la teologia dalle aggiunte speculative, l'adatti alla mentalità del secolo e quindi renda accessibile la verità a tutti, mediante una predicazione viva e aderente al tempo? Ecco quindi un orientamento verso l'applicazione della dottrina al ministero, che ci fa spontaneamente pensare alla teologia cherigmatica [xiv] (dal greco κήρυγμα = bando, annuncio) o teologia della predicazione (der Verkündigung), la quale, benchè altra cosa, potrebbe tuttavia nell'ordine ideale essere messa in relazione con la nuova teologia e potrebbe essere detta un primo aspetto di essa. Suo intento infatti è di rispondere al problema, che è anche la preoccupazione della nuova teologia, del come raggiungere la massa.

Nel settembre del 1948 il Centro di Pastorale Liturgica (C.P.L.) tenne a Versailles una animata sessione per il rinnovamento della predicazione mediante la catechesi biblica e liturgica». «Non si può dubitare, si disse: nella Chiesa avviene un vasto lavoro di ricupero, che, un po' dappertutto, e in generale con una scienza molto precisa, rimette in onore l'Antico Testamento e per mezzo suo tutta la Scrittura. Ritornata alle sue sorgenti, sbarazzata dal moralismo, dagli echi più o meno netti della politica e dai rumori del denaro, non c'è ragione perchè la Parola di Dio, come nei primi giorni della Chiesa, non conquisti i fedeli, in cui lo Spirito Santo respira >>.

Così pure recentemente si è cominciato a parlare della necessità di una teologia del laicato. Il P. Congar (O. P.) fa osservare che il Diritto Canonico parla dei laici soltanto nel canone 682. A suo avviso ciò è troppo poco in un tempo di «espansione apostolica della Chiesa », in cui i fedeli sono chiamati a partecipare all'apostolato gerarchico e a pren dere coscienza della loro «esistenza ecclesiologica e della loro apparte nenza a quel popolo di Dio, che è chiamato a testimoniare davanti al mondo». Perciò s'impone l'elaborazione di una teologia del laicato; cioè « una sintesi ecclesiologica, con cui il ministero della Chiesa riceva tutte le sue dimensioni, in modo da inglobare pienamente la realtà ecclesiastica del laicato. In mancanza di ciò, alla presenza di un mondo laicizzato, non si avrebbe che una Chiesa clericale, che non sarebbe, secondo ogni verità, il popolo di Dio ».

L'ecclesiologia della controriforma e della bassa scolastica, dovendo reagire al gallicanismo, al protestantesimo, allo staticismo moderno e al modernismo, si è accontentata di elaborare « esclusivamente le tesi riguardanti la Chiesa come società gerarchica, avente in sè tutti i mezzi necessari per raggiungere il suo fine. L'ecclesiologia è divenuta praticamente una teologia dei poteri gerarchici, una teologia della Chiesa come istituto di salvezza previo ai fedeli, i quali sono da essa generati al Cristo e costituiti tali, mentre la Chiesa non è costituita da essi: cioè una Heilsanstalt. I laici, il popolo cristiano appaiono in conseguenza piut. tosto come amministrati, come una materia, sulla quale viene esercitata l'azione gerarchica: una specie di homo religiosus analogo all'homo oeconomicus, che noi critichiamo, o all'homo politicus sotto regime totalitario ». Contro questa concezione bisogna reagire, dimostrando che il laicato non è la «massa passiva e amorfa », su cui agisce il clero, ma il popolo di Dio partecipante al sacerdozio di Cristo. È quindi necessario illustrare l'aspetto di Chiesa come Heilsgemeinschaft, determinando la parte propria dei laici nella costruzione del Regno.

Essi non concorrono propriamente ex missione, ma ea spiritu, benchè si possa dire che i laici organizzati nelle file dell'Azione Cattolica abbiano anche una specie di mandato. Tale azione cæ spiritu propria dei laici consiste nel cooperare, secondo l'opportunità e le circostanze all'apostolato gerarchico. Accanto a questa parte diretta all'azione sacerdotale di Cristo, che tocca ai laici er spiritu, e non ex missione, si deve riconoscere un altro loro compito, direi, indiretto e di rimbalzo, ma non meno reale: quello cioè di agire nel mondo non solo come uomini (come gli altri uomini), ma come cristiani, bonificandolo con gli elementi soprannaturali che hanno in sè. «Le forze del male sono in opera a costruire per gli uomini un universo chiuso e ostile ad ogni vocazione so prannaturale. I cristiani sono obbligati ad organizzarsi per istaurare o conservare un mondo temporale, nel quale siano in concreto possibili la vita nel Cristo, l'opera apostolica e santificante della Chiesa >>.[xv]

L'esagerazione di queste idee, del resto suggestive, appare subito nell'affermazione che la teologia e il Diritto Canonico non si sono curati del laicato se non per farne una massa. Il Codice al contrario non ha solo il canone 682 riguardante i laici, ma intieri titoli, che regolano la loro capacità associativa religiosa; e inoltre, come riconosce lo stesso Congar, citando un articolo del P. Bertrams,[xvi] il Codice ammette e sancisce l'azione di tutta la comunità nella formulazione di tradizioni e di co stumi. E la teologia, parlando in tutti i tempi della Chiesa come di Corpo Mistico di Cristo, non ha mai fatto dei laici una massa passiva e amorfa », ma delle membra del grande e sacerdotale organismo del Regno. Ciò evidentemente non impedisce (senza accusare la scolastica o la codificazione della Chiesa di aver trascurato rispettivamente un punto così importante di dottrina e di legislazione) che oggi, cessata la neces sità di sottolineare maggiormente l'aspetto gerarchico della Chiesa, si possa in più larga misura illustrare quello comunitario. E che ciò stia avvenendo in seno alla Chiesa, si può rilevare non solo dalla recentissima legislazione per istituti secolari[xvii] e per l'A. C., ma anche dalla fioritura di studi sulla grazia, sul Corpo Mistico, nei quali si illustra la funzione dei singoli fedeli nell'economia del Regno di Cristo, nonchè dalle innumerevoli biografie di laici tendenti a dimostrare come anche i semplice fedeli siano (o debbano essere) cellule vive nel grande corpo (lella Chiesa.[xviii]

c) La preoccupazione di raggiungere gli uomini della cultura. Più sentito ancora e più difficile a risolversi è il problema degli uomini colti. L'uomo colto moderno imbevuto di una filosofia della interiorità o della concretezza, che prende nome di kantismo, di esistenzialismo, di materia lismo dialettico, di storicismo o di evoluzionismo, come può essere raggiunto dalla teologia? E gli altri uomini colti, quelli, per esempio, del mondo della sociologia, della politica, dell'economia, della biologia e di molte altre scienze completamente laicizzate e staccate da ogni influsso della rivelazione, come possono essere ricondotti davanti al problema della salute eterna?[xix]

Una risposta a questo problema vorrebbe essere l'opera, del Poucel: Mystique de la terre; ma prima di lui possiamo dire che tentasse di risolvere la questione Maurizio Blondel col suo libro: L'Action già fin dal 1893, in cui suggerisce di prendere l'uomo della cultura con la sua stessa cultura, obbligandolo, partendo dall'analisi profonda della pro pria realtà, soprattutto interiore, ad orientarsi verso Cristo, l'unico che possa appagare con la grazia le esigenze profondissime di attualità del nostro essere. Non è nostro assunto di soffermarci ad analizzare e discutere la tesi e il metodo blondeliano. A noi interessa di notare che Blondel, benchè laico e filosofo soltanto, possa essere messo in relazione alla cosidetta nuova teologia, mediante la sua teoria dell'azione, con cui vor rebbe trovare un punto dove afferrare infallibilmente la sponda del soprannaturale; e ivi far approdare l'anima dell'uomo colto del nostro tempo.

M. Blondel esercita un grande influsso sui teologi della nuova teologia. Il più rappresentativo di essi, Enrico de Lubac, si trova sulla stessa linea di pensiero: difatti vorrebbe provare che per l'uomo non c'è altro fine possibile fuori di quello soprannaturale, essendo tale fine qualche cosa di essenziale per la creatura razionale. Di ciò parleremo più sotto.

Il tentativo di agganciare il soprannaturale alla filosofia dell'imma nenza non è che un aspetto della tendenza più vasta della nuova teologia nella ricerca di un contatto con la cultura moderna.

Il Daniélou[xx] loda il P. Teilhard de Chardin per aver audacemente pensato il cristianesimo in funzione dell'evoluzionismo biologico. Il So lages esorta ad accogliere l'idea dell'evoluzione come una feconda con quista del nostro tempo;[xxi] ed ancora il P. Daniélou addita una possibilità di spaziamento teologico nei vari sistemi moderni di filosofia (marxismo, hegelismo, esistenzialismo).

Come i Padri hanno attinto alla filosofia del loro tempo e S. Tom maso ha battezzato l'aristotelismo, così noi dobbiamo utilizzare e battezzare il pensiero moderno. Ciò significa non solo di non ignorare la filo sofia contemporanea per poterla confutare onestamente, dopo averla conosciuta (ciò non presenta difficoltà); ma anche di assimilare la filosofia moderna e farla diventare strumento teologico. Questa posizione suscita naturalmente molte riserve. Ci si può infatti chiedere come possa essere utilizzata una filosofia atea, materialistica, anti-intellettualistica. Per esempio, che cosa si può costruire, scendendo sul piano del materialismo dialettico?

Forse si vuol dire che compito della teologia è di illuminare parti colarmente quei punti, che presentano delle analogie con le teorie mo derne o che si prestino di più a ricondurre l'uomo moderno a quelle svolte del pensiero, dalle quali egli è scivolato nell'errore, per indicargli la via del ritorno? Senza dubbio tutto questo è compito della teologia. Oggi più che mai essa deve tendere la mano alla cultura in questo senso. O invece si vuol dire piuttosto che la nuova teologia dovrebbe, non solo mimetizzare con la filosofia moderna con un linguaggio nuovo, ma farla sua, ponendola come base di una nuova sistematizzazione del pensiero teologico?[xxii] Evidentemente qui si è fuori strada. La teologia sarebbe allora condannata a perdersi nel bailamme delle parole artefatte dell'umana sapienza (persuasibilibus humanae sapientiae verbis), [xxiii] della vera, chiara, vitale ed eterna Parola del Padre. corrompitrici

La filosofia però non costituisce che una parte del problema della nuova teologia. Difatti la nuova teologia non si propone soltanto la questione di agganciarsi al mondo della filosofia, ma col Thils,[xxiv] professore nel seminario teologico di Malines, ha di mira una teologia delle realtà terrene.

Il Thils si pone il problema, se il prete non abbia alcun compito nella comunità degli uomini all'infuori della sua azione strettamente sacerdotale. In altri termini si chiede se la teologia deve essere soltanto una scienza delle verità sovra-terrene, ovvero se essa deve avere anche una funzione illuminatrice riguardo a tutto ciò che è temporale e terreno, costringendo così l'uomo moderno, che si è completamente immerso nella materia, a trovarsi di fronte, suo malgrado, alla teologia. Il mondo ateo o agnostico dei politici, degli economisti, dei dotti, degli artisti sareb bero allora raggiunti sul loro stesso campo. Essi sarebbero così costretti, non ad assorbirsi volumi di astrattismo e di misteri, ma soltanto a ri flettere sul loro mondo per trovare per mezzo di esso il significato ultimo della realtà in cui vivono.

Le realtà terrene, tutte senza eccezione, è evidente, fanno parte del l'oggetto materiale della teologia, perchè anch'esse derivano da Dio e da Lui sono destinate a servire all'attuazione del piano soprannaturale. Mit si può ugualmente dire che sono anche oggetto formale della teologia. ossia che esiste riguardo alle realtà terrene un insegnamento divino una rivelazione?

Il Thils fa molta forza sulle verità virtualmente rivelate circa le realtà terrene, sfruttando il discorso della montagna e gli insegnamenti etici di S. Paolo. Ci possiamo tuttavia chiedere se ciò basta per costruire una vera e propria teologia o almeno un nuovo capitolo di essa. Non si tratta piuttosto di collocare le realtà terrene sotto l'angolo visuale della teologia, affinchè partecipino della luce di questa? Ma allora la teologia delle realtà terrene è sempre esistita! Il De civitate Dei, la Summa contra gentes, l'Humanisme intégral di Maritain, il recente Sens chrétien de l'homme di Mouroux e migliaia di altre opere sono teologia delle realtà terrene in questo senso. Sotto la luce dei principi rivelati e delle conclusioni teologiche esse illuminano le discipline umane e le cose, mostran done il nesso con le finalità ultra-terrene e soprannaturali.

È vero che su alcuni punti delle realtà terrene esistono nella rivelazione degli insegnamenti divini. Non si può negare, per esempio, che molti precetti rivelati sono precetti di etica naturale e che molte verità rivelate non sono che verità di ordine naturale. Ma si può affermare che tutto questo materiale rivelato, diciamo così: terreno, è rimasto finora giacente e che la teologia non se ne sia mai occupata, cosicchè ora sia necessario fare una teologia nuova per valorizzarlo? Ci pare invece che questo lavoro già esista; benchè forse sia da concedersi che oggi si senta un bisogno maggiore di volgarizzare questa parte della teologia, arricchendola anche con più accurati esami e studi del deposito rivelato.

Concludendo possiamo quindi dire che la teologia nuova nella sua origine è una reazione all'astrattismo razionale scolastico o, per usare un'espressione di Poucel-Barjon, un'avversione all'« idolatria delle idee chiare»,[xxv] e come uno sforzo di adeguarsi ai tempi, per raggiungere l'uomo moderno della cultura e del lavoro. Essa non è quindi un apporto di nuove verità sconosciute alla teologia tradizionale e neppure è una sintesi del pensiero teologico, quasi corpo unico dottrinale aggiornato e adattato al tempo nostro, ma è soltanto il desiderio di tale sintesi, la proclamazione di tale lavoro, lo sforzo di trovare la via (il metodo) per compierlo. Perciò la teologia nuova, più che altro, parte da un bisogno di vitalità; e finora non è che tendenza verso di essa.

 

II. LA POLEMICA TRA IL P. GARRIGOU-LAGRANGE E MONS. DE SOLAGES.

 

Tutto questo fermento di idee era naturale che provocasse vivaci dibattiti e dispute tra i cultori della teologia. Ci accontenteremo di rilevare un episodio di esso, che a nostro giudizio però serve a portarci in pieno nel campo della discussione. Esso è la polemica tra il P. GarrigouLagrange e Mons. De Solages. Il punto di partenza del dibattito può essere stabilito nell'articolo del P. Daniélou: Les orientations présentes de la pensée religieuse[xxvi] е nel libro del P. Bouillard: Conversion et grâce chez s. Thomas d'Aquin.[xxvii]

Il P. Daniélou, partendo dal presupposto generale che il mondo ha bisogno di una teologia vivente, e che, come abbiamo già notato, Dio deve diventare un soggetto e non un oggetto mummificato di speculazione, propugna un ritorno alle fonti teologiche e un arricchimento della teo logia al contatto della cultura e soprattutto della filosofia contempora nea. Lasciate le speculazioni stereotipate di carattere scolastico, bisogna rifarsi alla Bibbia, ai Padri e alla liturgia, per ritrovare giovane e vi vente la teologia e per imparare dai Padri a vivere nel proprio mondo, utilizzando la filosofia moderna prendendo da essa tutto ciò che può rendere attuale il cristianesimo. Le grandi correnti della filosofia odierna sono: il marxismo, che trasporta l'idea di evoluzione biologica fino al l'evoluzione sociologica; l'hegelismo, che valorizza la storia; e l'esistenzialismo, che dà risalto al soggetto come tale. Il marxismo e l'hegelismo allargano la visione spaziale e la visione temporale della realtà e l'esisten zialismo apre davanti all'uomo l'abisso dell'uomo, cosicchè la teologia si trova di fronte all'istoricità (marxismo-hegelismo) e alla soggettività (esistenzialismo) con molteplici possibili vie d'uscire dagli angusti confini intellettualistici e di dilatarsi. Il P. Teilhard de Chardin ha il merito «d'affrontare audacemente il problema e di sforzarsi di pensare il cristianesimo, tenendo conto delle prospettive aperte dall'evoluzione ».[xxviii] Gli altri campi della cultura e della vita moderna aspettano uomini adatti, che sappiano cogliere le note intonate o intonabili al pensiero cattolico. Egli conchiude perciò, asserendo che il problema modernista di conciliare il cattolicismo con la vita del nostro tempo, risolto con eccessiva rudezza ed affrettatamente, è un problema che dev'essere ripreso in esame.[xxix]

II P. Bouillard impressionò soprattutto per il relativismo dogmatico, secondo la frase riassuntiva e diventata celebre: «Una teologia non attuale è una teologia falsa».[xxx]

Nella letteratura di reazione e di critica a questo groviglio di idee, spicca per il tono ardente l'articolo del P. Garrigou-Lagrange intitolato: << La nouvelle théologie où va-t-elle? ». Oserei chiamare questo scritto[xxxi] un articolo-allarme. In esso si sente gridare con piena voce al pericolo della teologia nuova, dimodochè l'attenzione è attirata verso il problema e ci si domanda con trepidazione, se si è di fronte al sorgere di qualche nuova eresia o al rinascere del modernismo per vie misteriose.

Ecco un breve resoconto dell'articolo.

II P. Garrigou parte dall'espressione del Bouillard: Una teologia non attuale è una teologia falsa» e osserva che la verità è qualche cosa di immutabile in se stessa e che perciò ammette una variazione e un ag giornamento di espressione, ma non mai di nozione. Mette in relazione questo preteso relativismo nozionale della teologia con la definizione blondeliana della verità, la quale all'adacquatio rei et intellectus sostituisce l'adaequatio realis mentis et vitae, cosicchè la verità dovrebbe seguire la sorte cangiante della vita e dell'esperienza. Quindi riporta due proposizioni delle 12 estratte dalla filosofia dell'azione e condannate dal S. Officio il 1º dicembre 1924, per conchiudere che molti seguaci della nuova teologia «senza badarci ritornano oggi a questi errori ».[xxxii]

Quindi passa a rimproverare al de Lubac di ridurre a nulla la di stinzione tra l'ordine naturale e l'ordine soprannaturale nell'opera: « Surnaturel »;[xxxiii] impugna gli Etudes » per aver affermato non solo assopito, ma addirittura sepolto il tomismo; e sottolinea scandalizzato l'espressione, pure degli Etudes », che il neo-tomismo e le decisioni della Commissione Bibblica furono un parapetto, ma non una rispo sta al problema di adeguare la teologia alla cultura moderna, susci tato dal modernismo. Dopo tutto questo il Garrigou si domanda con trepidazione dove si incammini la teologia nuova. [xxxiv]«Dove va, risponde, se non nella strada dello scetticismo, della fantasia e dell'eresia?».[xxxv] A conferma di questo giudizio allarmante sulla teologia nuova reca quindi alcuni tratti di fogli poligrafati e distribuiti in buon numero tra seminaristi e clero di Francia almeno a datare dal 1934,[xxxvi] nei quali si intaccano e stravolgono insieme ad altri errori le nozioni genuine della fede, della colpa d'origine e della presenza reale nell'Eucaristia. La fede, invece di adesione soprannaturale ed infallibile alle verità rivelate per autorità di Dio rivelante, è proposta come un'adesione dello spirito a una prospettiva e visione generale dell'universo. Il peccato originale, da colpa volontaria del primo nomo (inoboedientia unius, dice S. Paolo), sotto l'influsso evidente dell'evoluzionismo diventa una mancanza collettiva, se si può dir così, degli uomini, che hanno avuto influenza speciale sull'umanità. Infine la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, frutto del concetto scolastico di transustanziazione attualmente inammissibile e sorpassato, è rigettata come viene rigettato tale concetto. Per transustanziazione non si deve intendere attualmente se non il cambiamento dell'essere religioso del pane e del vino, in quanto che, per un rito determinato da Cristo, essi diventano un simbolo efficace del sacrificio della croce.

Vedendo e denunciando nella nuova teologia un tentativo di stabilire una specie di relativismo della verità e dei dogmi, una corruzione del concetto del soprannaturale, una simpatia sospetta verso la cultura moderna e, di fatto, una propaganda clandestina di aperte eresie, il Gar rigou conclude il suo articolo dicendo che questa teologia nuova «revient au modernisme >>[xxxvii]

I termini di cresia e[xxxviii] di modernismo, che risuonano nell'ardente articolo del P. Garrigou, sono espressioni forti, che, se si prescinde dai documenti clandestini addotti, non erano evidentemente giustificate. Perciò non fa meraviglia che all'articolo del Garrigou abbia risposto, a nostro giudizio, in modo assai violento il De Solages nel Bulletin de Littérature ecclésiastique.[xxxix]

Mons. De Solages rimprovera al P. Garrigou soprattutto i seguenti sei punti: a) Di aver citato male il Blondel e di non aver tenuto conto del suo pensiero posteriore. Difatti, nel riferire la definizione della verità chiamata dal Blondel chimerica e da sostituirsi, il Garrigon lascia arbitrariamente l'aggettivo: speculativa» e trascrive soltanto «adaequatio rei et intellectus». Inoltre non tien conto che in seguito il Blondel avrebbe ritrattato sia l'epiteto di chimerica dato alla definizione tradi tionale della verità, sia la pretesa di volerla sostituire con l'a adaequa tio realis mentis et vitae n. b) Di far dire al Bouillard una mostruosità, da lui mai sognata, quale è quella dell'instabilità e relatività del dogma. c) Di confondere il tomismo con un tomismo, cioè con quello sorpassato del Tonquédec. d) Di mancare alla probità scientifica nel citare fogli anonimi poligrafati, non di pubblico diritto, in una pubblica disputa. e) Di rigettare a priori, basandosi sull'autorità di scrittori che fareb bero ridere i competenti, la grande conquista del pensiero contemporаneo: l'idea dell'evoluzione. f) Di tacciare precipitosamente d'eresia e di modernismo teologi eruditissimi e di gran nome. Il Garrigou con questa focosità, dice il Solages, se fosse vissuto al tempo di S. Tommaso, sarebbe stato tra quelli che ne chiesero la condanna.

Se tutte queste osservazioni fossero vere, ce ne sarebbe evidentemente abbastanza per screditare e squalificare il Garrigou. S'imponeva quindi da parte sua una risposta alla critica virulenta del De Solages; e comparve così sull'« Angelicum » l'articolo intitolato: «Vérité et im mutabilité du dogme ».[xl]

Brevemente e in tono abbastanza pacato egli risponde rispettivamente agli appunti del De Solages in questo modo. a) Riconosceva che aveva tralasciato l'aggettivo «speculativa » nel citare Blondel, ma ciò non mutava nulla del valore della critica fatta al filosofo francese. Inol tre il Blondel nelle opere posteriori considerate in sè (prescindendo dalle sue convinzioni ed intenzioni interne e tacite), asseriva il Garrigou, non ha ritrattato nè l'epiteto di chimerica dato alla definizione tradizionale della verità, nè la pretesa di sostituirla (e recava vari passi di opere po steriori all'Action del 1893 in conferma di ciò). b) Anche letto attentamente nel suo contesto il Bouillard non può essere assolto dall'accusa di aver fatto del dogma qualche cosa di cangiante, non solo nell'espressione, ma nella nozione stessa. c) Il Péguy, a cui si riferiva il Fessard, quando chiamò sotterrato il tomismo, non consta intendesse solo quello del Tonquédec. d) Riguardo ai fogli clandestini citati in un pubblico articolo di una rivista scientifica, bisogna chiedersi se la mancanza di probità stia da parte di colui che denuncia uno scandalo, o di quelli che lo provocano. e) Riguardo alla sovresaltata evoluzione va tenuto presente che essa, per essere ammessa, deve sottostare alle esigenze dell' esserc ossia della metafisica; e che quindi un'evoluzione assoluta e panteistica, per esempio in senso hegeliano, non è che la negazione di tutti i dogmi del cristianesimo e l'apostasia completa dalla fede. Perciò con essa non ci può essere punto alcuno di contatto. f) Finchè un teologo non si erige a giudice autorizzato, senza aver ricevuto per questo alcun mandato dall'autorità competente, ma si mantiene nella sfera della scienza e dei principî teologici, non consta esservi alcuna poibizione circa il pronun ciare od esprimere la propria opinione sopra una dottrina o sopra un movimento teologico, dicendo anche se si tratta d'eresia o di pericolo d'eresia.

Sostanzialmente quindi il Garrigou si mantiene sulla posizione presa rispetto alla teologia nuova, ritenendola un movimento pericoloso, in camminato verso l'eresia e il modernismo. Tralasciamo ulteriori strascichi polemici, notando soltanto come l'Humani generis nella sostanza dia ragione al P. Garrigou; essa infatti condanna tutti gli errori de nunciati da lui e fa anche menzione dei fogli ereticali clandestinamente distribuiti tra seminaristi, clero e laici.[xli]

 

 

III. DEVIAZIONI MAGGIORI DEL NUOVO ORIENTAMENTO TEOLOGICO.

Dal problema generale di adattare il pensiero teologico alle esigenze moderne (punto di partenza ed assillo della teologia nuova), mediante le due collezioni: «Sources Chrétiennes » e «Théologie » e mediante il di battito apertosi sulle riviste, si è giunti a un tentativo di ritorno alle fonti del cristianesimo e alla discussione di alcuni punti particolari, ma centrali, riguardo al problema metodologico della teologia. Questi punti, che sono anche le deviazioni maggiori del nuovo orientamento teologico, possono essere ridotti a quattro: a) la questione del tomismo o meglio della scolastica in genere; b) la questione del soprannaturale e dell'esi genza di esso; c) la questione del relativismo dogmatico; d) l'irenismo.

a) La questione del tomismo o meglio della scolastica. Il Danié lou, il de Lubac, il De Solages 45 e in genere i patrocinatori della teologia nuova dimostrano sfiducia nella scolastica, specialmente nel tomismo, che essi qualificano di astrattismo e di intellettualismo esagerato. Invano il Daniélou, il de Lubac e gli altri autori della famosa « Réponse >> confidano al P. Labourdette «que plusieurs d'entre nous, venus dès leur jeune âge à saint Thomas en partie sous l'influence du P. Rousselot, [xlii]s'enthousiasmèrent un temps pour quelques aspects de l'intellectualisme thomiste tel qu'il le leur présentait, et qu'ils admirent toujours la vi gueur avec laquelle il l'avait fait sien. Il nome del Rousselot, la qua lifica di intellettualismo e l'esplicita affermazione di un entusiasmo passeggero di gioventù per alcuni aspetti soltanto del tomismo sono tutt'altro che adatti a dissipare ogni sospetto circa la sfiducia nutrita verso la scolastica e direi persino circa il valore della ragione umana in se stessa. Difatti i seguaci della teologia nuova si domandano se basta la ragione col suo astrattismo a fare di Dio un soggetto, o se invece essa non lo гіduca a un oggetto-mummia, vuoto concettualismo che l'uomo moderno non comprende e disprezza.[xliii]

I Padri non fecero della scolastica; così furono vivi nel loro tempo. Ad essi bisogna rifarsi, per imparare da essi il metodo di vivificare la teologia. Essi non devono essere riesumati materialmente; si piomberebbe nell'errore che si vuole evitare:[xliv] si trapianterebbe infatti nel nostro ве colo una teologia che era viva una dozzina di secoli fa; con ciò si accetterebbe il cadavere della patristica per scartare quello tomista. I Padri invece debbono essere presentati vivi, parlanti, nel loro tempo, di fronte ai loro avversari, in mezzo ai bisogni e all’ambiente culturale e vitale, in cui si sono trovati, per sentire dalla loro bocca l'annuncio della Parola del Regno; per imparare da loro, non a ripetere come dischi espres sioni materiali e lontane, ma ad annunciare in modo vivo, nel mondo vivo ed attuale che attornia l'eterno Verbo della salute.

Si può osservare: S. Tommaso e la maggior parte degli scolastici non furono anch'essi vivi e viventi nel loro tempo? Perchè dunque risalire fino ai Padri e non imparare da loro il metodo vivo e vivente per rendere attuale la teologia? Forse però il Poucel-Barjon direbbe che questa interrogazione è dettata dall'« idolatria delle idee chiare ».[xlv]

E poi la sintesi tomista non rappresenta un punto di arrivo e una conquista nel campo filosofico e teologico? Perchè lasciarla per cercare o per costruire ab imis altre posizioni di valore problematico? Ma è assolutamente imperdonabile come si possa prudentemente e assennatamente nutrire o favorire la sfiducia nella scolastica in genere e nel tomismo in specie, quando le supreme autorità della Chiesa, proprio nel no stro tempo, raccomandano di attingere di preferenza a queste fonti i tesori della teologia.[xlvi]

Forse i seguaci della teologia nuova vogliono soltanto protestare con tro l'integrismo di taluni ambienti scolastici, dove si fa gran parte a questioni sottili e a distinzioni cavillose, trascurando o anche disprezzando la teologia positiva, che dovrebbe essere invece la giusta integrazione di quella speculativa. Ma in tal caso, a parlare francamente, biso gna dire che i seguaci della nuova teologia non hanno scelto il linguaggio meglio corrispondente alle loro idee, perchè le loro parole, per usare una formula scolastica, troppe volte offendono aures pias. Il fatto che tutti gli eretici dell'età moderna sono stati avversari della scolastica, denigrandola ferocemente, mette naturalmente in guardia ogni buon cattolico tutte le volte che si sentono espressioni che siano (o che abbiano l'apparenza di essere) in discredito di essa. Anche l'Humani generis sottolinea che dalla critica del metodo e del contenuto della scolastica è facile il passo a disprezzare lo stesso Magistero della Chiesa. 50[xlvii]

b) La questione del soprannaturale. In Blondel si può indivi duare l'esponente di una concezione immanentista del soprannaturale. All'esteriorismo razionalistico, questa concezione contrappone un'elevazione dell'uomo alla partecipazione della vita divina, come un potenziamento dalla natura umana domandato e voluto. Il cristianesimo coi suoi misteri, i suoi dogmi, i suoi sacramenti riempie il vuoto aperto nella nostra natura. Senza la grazia l'uomo rimarrebbe manchevole.

Evidentemente, se l'immanentismo blondelliano si limitasse a una pura manchevolezza della natura nel senso di potentia oboedientialis, non ci sarebbe che questione di parole. Egli direbbe come noi che l'ordine soprannaturale è conveniente all'uomo, benchè non dovuto. Ma inter pretare così la teoria immanentistica blondeliana del soprannaturale è svisarla. Egli parla di vera esigenza naturale del soprannaturale. Va notato tuttavia che il Blondel e molti blondeliani hanno in seguito ab bandonato questa concezione loro dimostrata incompatibile con la dottrina cattolica e col genuino concetto del soprannaturale.[xlviii]

Presso i seguaci della teologia nuova, sotto altre forme e con varie attenuazioni verbali, rinasce l'idea blondeliana. Nota uno di loro: «Che l'Action, nel testo del 1893, molte pagine dei libri della sua vecchiaia e di articoli oggi quasi introvabili entrino e rimangano nel tesoro della nostra eredità spirituale, non c'è bisogno d'essere profeta per assicurarlo.[xlix] Dunque l'Action nell'edizione del 1893, non quella posteriore e corretta, vien stimata capace di far parte di una eredità spirituale. Più che altri mostra di aver accettata questa eredità il P. de Lubac col suo libro: Surnaturel. In esso egli sostiene che presso i Padri non si trova un fondamento sicuro del sistema di due ordini distinti (naturale e soprannaturale); e che in particolare la dottrina di uno stato possibile di natura pura proposta comunemente dai teologi moderni è perfettamente gratuita. I Padri indicano un unico fine possibile per l'uomo: la visione beatificata. Alla visione intuitiva la natura spirituale tende con desiderio assoluto, sgorgante costituzionalmente dalla sua stessa es senza e non soltanto per una velleità ipotetica. Cosicchè non è neppure pensabile una crcatura razionale non ordinata a tal fine. Tuttavia questa aspirazione alla visione intuitiva non dev'essere chiamata esigenza, ma soltanto umile aspettativa dei doni, che Dio, nella sua liberalità e nella sua libertà, ha destinato per l'uomo. Con quest'ultima clausola il de Lubac vorrebbe sfuggire alla critica del soprannaturale come richiesto dalla natura, ma inutilmente.[l]

Difatti la visione intuitiva è una partecipazione (accidentale) alla vita divina. Ora dei beni strettamente divini non ci può essere un desi derio naturale assoluto. Perciò, o si intende parlare di un desiderio na turale ipotetico e si rientra allora nella dottrina tradizionale e al solito concetto di potenza obedienzale; o si parla invece di vero e proprio desi derio assoluto del soprannaturale (sia pure di umilissima aspettativa), e allora si ritorna al primitivo concetto blondeliano di esigenza. Nė vale cercare un effugio a questa argomentazione, come fa il P. Malevez in Nouvelle revue théologique [li] recensendo l'opera del de Lubac, ponendo l'esigenza da parte di Dio e spiegandola come un postulato infallibile della sua bontà. Sebbene Dio, direbbe il Malevez, neppure di potenza ordinata sia necessariamente tenuto all'elevazione della creatura razio nale, tuttavia mosso dall'infinito suo amore, di fatto, Egli giunge infal libilmente fino alla massima donazione possibile e quindi fino all'eleva zione all'ordine soprannaturale. Questo argomento non prova nulla, perchè prova troppo. Difatti in forza di esso Dio sarebbe infallibilmente condotto a creare l'ottimo e dovremmo ammettere l'ottimismo leibnitziano e la conseguente negazione della divina libertà.[lii]

In un prolisso articolo di Recherches de science religieuse il P. de Lubac conferma la sua tesi del fine soprannaturale unico per la crea tura razionale, insistendo soprattutto nel carattere costitutivo interno di tale fine riguardo all'essenza dell'uomo e nella vacuità della dottrina della natura pura; da lui costantemente definita semplice «ipotesi» e benignamente riconosciuta come utile strumento di dimostrazione della gratuità del soprannaturale per professori meno capaci.[liii]

Prescindendo dal fatto che tra questi spiriti incapaci di salvare la gratuità del soprannaturale, senza ricorrere all'ipotesi » della natura pura, sarebbero da annoverarsi teologi della portata di un Suarez, di un Bellarmino, di un Beraza, rimane tuttavia da impugnare la qualifica stessa di «ipotesi» attribuita alla dottrina di natura pura. Difatti, se è vero che storicamente Dio non ha creato (almeno che consti a noi) alcun ente razionale nello stato di pura natura, è anche vero che tra na tura e sopranatura c'è distinzione reale (altrimenti natura e sopranatura sarebbero una stessa identica realtà, il che sarebbe eresia aperta).[liv]

Ma, se esiste distinzione reale (non diciamo divisione o separazione) tra natura e sopranatura, è legittimamente pensabile una sottrazione mentale di tutto ciò, che è soprannaturale. Il resto di tale sottrazione, cioè quello che rimane, quando venga tolto ogni elemento soprannatu rale, non può essere altro che natura pura. Orbene una tale natura è una realtà in tutti gli enti razionali elevati all'ordine soprannaturale, per che in essi esiste, nell'ordine attuale, non separata o divisa, ma realmente distinta da ogni entità soprannaturale, una natura in cui il so prannaturale si innesta; e tale natura non può essere che pura.

Inoltre l'ambito della realtà non è soltanto la cerchia delle cose esistenti, ma anche il regno dei possibili. Orbene nessuno può dimo strare assurdo che la natura razionale possa esistere indipendentemente dalla sopranatura. Per provare una tale assurdità, bisognerebbe dimostrare che la sopranatura è per la natura un costitutivo essenziale o una conditio sine qua non. Il primo certamente no, perchè per definizione stessa sopranatura significa oltre-natura: cioè la sopranatura incomincia quando la natura è costituita. Nè si può dire che la sopranatura sia una conditio sine qua non, perchè non si può invocare da parte della natura una esigenza di essa (e ciò a parole vien concesso anche dal de Lubac); nè da parte di Dio, che, essendo libero non può essere obbligato ad un meglio qualsiasi, ed essendo onnipotente, può collocare nell'esi stente tutto ciò in cui sia salva la ratio entis.

Di qui appare quanto superficialmente il P. de Lubac abbia potuto scrivere la seguente riflessione: «En posant un autre ordre de choses, on pose du même coup, qu'on le veuille ou non, une autre humanité, un autre être humain et, si l'on peut dire, un autre moi. Dans ce monde purement natural qu'on imagine ou qu'on affirme possible, ma nature, dit-on, aurait trouvé sa place. Admettons-le, encore que cela ne soit point aussi assuré qu'on le croit. Mais en tout cas ce n'eût pas été le même moi. Qu'on mette dans ce monde hypothétique un homme aussi parfaitement semblable à moi qu'on voudra: on ne m'y met pas, moi. Entre cet homme qui, par hypothèse, n'est pas destiné à voir Dieu, et l'homme que je suis en réalité, entre ce futurible et cet existant, il n'y a encore qu'une identité tout idéale, tout abstraite. Peut-être même est-ce là déjà trop concéder. Car la différence entre l'un et l'autre n'affecte pas seulement l'individualité, mais la nature même ».[lv]

Continuando la supposizione del P. de Lubac, si potrebbe chiedere: se io fossi creato in stato di natura pura, o se mi fosse sottratto tutto (assolutamente tutto) ciò, che è soprannaturale, cesserei di essere animal, rationale, hoo? In altri termini cesserei di essere questa persona umana con questa mia animalità e razionalità individuata? Certo no! Allora катеі ancora l'identico io di prima e la diversità, benchè grandissima, sarebbe tutta non nella linea dell'essenza, ma degli accidenti. To sarei io, ma senza il regale paludamento del soprannaturale.

Infine, se non si ammette la realtà della natura pura come distinta dalla sopranatura e come possibile anche separata da essa, non si può salvare la gratuità del soprannaturale. Quando si parla di gratuità del soprannaturale non si intende una semplice gratuità generica (Dio può creare o non creare); ma una gratuità specifica (anche posto il decreto di creazione, Dio può dare o non dare tale dono). Ma se il fine soprannaturale è l'unico tine possibile per la creatura razionale, sia che tale fine venga concepito come esigenza della natura, quale suo costitutivo essen ziale (vedi le parole del de Lubac appena citate), o come esigenza da parte di Dio, la gratuità specifica del soprannaturale è distrutta. Difatti Dio potrebbe creare o non creare l'ente razionale, ma, se decreta di crearlo, non potrebbe non porlo nell'ordine soprannaturale.

L'enciclica Humani generis, senza fare il nome del de Lubac, ne condanna chiaramente la tesi. «Alii (theologi) », scrive l'enciclica, «gratuitatem ordinis supernaturalis corrumpunt, cum autument Deum entia intellectu praedita condere non posse, quin eadem ad beatificam visionem ordinet et vocet ». L'enciclica anche in questo caso si astiene da ogni qualifica teologica, limitandosi a condannare tale opinione; il minimo quindi che si può dire di essa è che tale opinione è falsa. Forse si potrebbe anche dire che essa sotto altri termini rinnova l'errore di Baio. Ma ciò è di secondaria importanza. Ciò che più preme è di sapere con certezza che la dottrina lubachiana è erronea, affinchè cessi l'incanto, quasi magico, che essa con l'ostentata erudizione e con l'inspiegabile approvazione ecclesiastica troppo largamente ha esercitato.[lvi]

Questo del soprannaturale, a nostro giudizio, è uno dei punti più oscuri della teologia nuova. Forse l'intenzione era buona. Sotto l'influsso della preoccupazione metodologica si voleva trovare il modo di afferrare l'uomo moderno eminentemente immanentista. Sullo sfondo si avrebbe avuto una preoccupazione apologetica: la concezione esigenziale del so prannaturale avrebbe voluto sopprimere l'irriducibilità dei due ordini (naturale e soprannaturale), sopprimendo il conseguente dualismo che essi cagionano nell'uomo. L'uomo per imbattersi nel soprannaturale non avrebbe dovuto che esaminare se stesso. Come appare, la via sarebbe stata facile e adatta all'uomo moderno schifiltoso d'ogni trascendenza, se nou fosse una via assurda e che significa la negazione di tutto il cristianesimo.[lvii]

c) La questione del relativismo dogmatico. Imputati di relativismo dogmatico sono soprattuto il P. Enrico Bouillard (S. J.) nell'opera: Conversion et grâce chez[lviii]. Thomas d'Aquin, il P. Enrico de Lubac (S. J.) nell'articolo: Le problème du développement du dogme,[lix] il P. Giovanni Daniélou nell'articolo: Les orientations présentes de la pensée reli gieuse e il P. Giammaria Le Blond (S. J.) nell'articolo: L'analogic de la vérité.[lx]

Molti hanno interloquito nella questione. In particolare ricordiamo il Des Lauriers (O. P.),[lxi] il P. Garrigou-Lagrange (O. P.), il P. Labourdette (O. P.)[lxii] e il P. Spedalieri (S. J.). Seguire tutta la controversia ci dilungherebbe troppo. Per cogliere il contenuto della questione basterà indicare il punto di vista del P. Le Blond e la risposta del P. Labourdette.

II P. Le Blond parte dal fatto che solo la Verità divina è perfetta ed assoluta. « La verità, scrive, non è univoca; c'è una verità sussistente, che è assoluta, che è Dio stesso nella sua simplicità, Dio in quanto si со nosce e conosce in se stesso tutte le cose.[lxiii] Il corrispondente di questa af fermazione è questa.... che tutte le altre verità sono complesse e deficienti, che esse imitano la verità semplice, senza poterla uguagliare nella loro molteplicità, che esse sono, in una parola, verità analoghe alla Ve rità prima ».[lxiv]

Di qui segue che solo la Verità sussistente può essere assolutamente assoluta ed imperfettibile; mentre invece ogni altra verità, e anche il miglior sistema umano, non potrà mai essere il migliore possibile (quo verior cogitari nequit); perciò è poco ragionevole parlare di sistema as soluto ed unico. «La stessa sintesi tomista, sintesi sicura, consacrata dall'uso che ne fa la Chiesa.... non può essere eguagliata alla Verità sussistente e non ne traduce in contanti tutte le ricchezze. Difatti, ас canto ad essa, al disotto di essa, si sono allineate nel medioevo altre sintesi, per esempio, quella di S. Bonaventura, del beato Duns Scoto, di Francesco Suarez, forse meno fortemente costruite, ma complementari piuttosto che opposte; anch'esse fanno parte del tesoro cristiano e ne esprimono degli aspetti, che il tomismo non ignora, ma che non mette così in luce. Allo stesso modo nell'avvenire altri tentativi continueranno lo sforzo asintotico dell'uomo per avvicinarsi all'assoluto, di cui spe riamo la possessione nell'altra vita. Per potente che sia, il tomismo ri mane sempre un sistema, una moltiplicità unificata, irriducibilmente eterogenea alla semplicità assoluta ». C'è quindi una formazione della verità: e in essa entra come elemento limitatiro e restrittivo la situazione[lxv] concreta: perciò l'attualità contribuisce a definire la verità come condi zione negativa e limite. «L'oblio di questa dottrina dell'analogia, conchiude il Le Blond, avrebbe delle gravi conseguenze. Se per disgrazia i filosofi cristiani vi si abbandonassero, il contatto col mondo moderno rischierebbe di interrompersi definitivamente e l'opposizione tra il pensiero dei seminari e il pensiero del resto del mondo sarebbe consacrata ».[lxvi]

Ancora una volta affiora l'ansia fondamentale della nuova teologia: il contatto col mondo moderno. Non soffermiamoci però su tale conside razione e vediamo senz'altro succintamente la risposta del P. Labourdette.[lxvii]

Anzitutto il Labourdette osserva che se è vero essere necessario per la Chiesa un adattamento dottrinale non solo ai diversi linguaggi, ma anche ai diversi concetti (nozioni) secondo il mutar dei tempi, pena una separazione netta tra i seminari e il resto del mondo, ne viene di conse guenza che non solo s'impone un'adequazione alla situazione dei pensa tori d'oggi, ma anche una filiazione, un progresso, una dialettica interna della teologia verso l'assoluto con forme contrastanti o meglio una ge nealogia delle teologie. In altre parole, il principio posto conduce logicamente a un perfetto relativismo teologico. Ciò posto, il Labourdette con lungo e acuto esame del processo logico, senza bisogno di negare l'analogia della verità-creata riguardo a quella increata, dimostra come il principio della verità, come insegna S. Tommaso, va ricercato nella  cosa;[lxviii] e perciò l'uomo (natura determinata e fissa), che ha un suo modo determinato, fisso e in tutti sostanzialmente uguale nel raggiungere le cose o conoscerle, può arrivare a una conquista della verità, a un sistema sempre valevole, benchè suscettibile delle addizioni che il tempo impone col sorgere di nuovi problemi e col frutto dell'indagine scientifica. Non si tratterebbe quindi di superamento, ma di integrazione. Applicando in seguito al tomismo tale principio, dimostra come esso (o più generalmente la scolastica), pur essendo aperto a tutto ciò che gli manca ancora, è una conquista stabile, essendo nella sua sostanza vero, perchè poggia su principi veri, perchè coglie l'essenza stessa delle cose. Di qui appare l'equivoco, su cui si fonda l'asserzione, sovente ripetuta, che, come S. Tommaso ha saputo battezzare Aristotele, così, per essere attuali, bisogna battezzare Hegel o Bergson, Kierkegaard o Marx. «S. Tommaso non ha inteso dare del cristianesimo un'espressione provvisoria, valevole per un tempo, nel quale si credeva che Aristotele fosse vero; egli inten deva dare un'espressione razionale, oggettiva e sempre vera di un insieme dogmatico proposto all'intelligenza essenzialmente immutabile degli uomini.[lxix] Perciò il merito di S. Tommaso non è di aver adattato il cristianesimo ad Aristotele, ma di essersi servito della filosofia [lxx]perennemente vera, che ebbe in Aristotele il suo più alto espositore, per esprimere in modo sempre valevole la verità cristiana. Questa espressione del cristia nesimo formulata da S. Tommaso (dalla scolastica), benchè aperta a tutte le integrazioni che la ricerca della verità esige, non può dirsi superata. Anzi sarebbe ripunciare ad una ricchezza e ad una forza l'abbandono stesso del linguaggio e della terminologia scolastica.[lxxi]

Questa linea di pensiero trova la sua più autorevole approvazione e conferma nell'Humani generis. L'enciclica infatti riprova l'ottimismo ingenuo di coloro che pensano potersi esprimere il dogma con le categorie della filosofia moderna, dopochè sia stato spogliato dalle superstrutture estrinseche, mediante un processo di riduzione all'espressione originaria, che esso ottenne nella Scrittura e nei Padri. Il dogma, essi dicono, non può essere significato con concetti completamente veritieri, trattandosi di misteri; perciò s'impone non solo una espressione terminologica, ma anche concettuale, secondo la diversità dei tempi. Le varie espressioni concettuali però, anche contrarie, si equivalgono e si integrano, perchè umanizzano la verità divina in modo diverso, secondo la diversa filosofia che serve a sistematizzare il dogma. Ma questa argomentazione, su cui vien basato il relativismo dogmatico e il disprezzo della dottrina tradi zionale e della sua terminologia, è rigettato dall'enciclica come inconsistente. Essa afferma chiaramente che la Chiesa non può legarsi a nessun effimero sistema filosofico; e che la dottrina e la terminologia tradizio nale, più che poggiare su un sistema filosofico, si fonda sulla vera conoscenza delle cose, cioè della realtà. Non deve quindi meravigliare che anche la stessa terminologia, sgorgante da tale conoscenza delle cose, abbia potuto a volte venire sancita dalla Chiesa. Perciò il disprezzo della scolastica, sotto pretesto che essa sia priva di significato nel campo teo logico, non apportando che ragionamenti astratti nel settore positivo lella rivelazione, è un primo passo verso il disprezzo del Magistero stes so, che tanto ha stima di essa e tanto ripetutamente la raccomanda. L'abbandono poi dei concetti e degli stessi termini elaborati da uomini sommi con travaglio di secoli, per mettere al loro posto espressioni e concetti moderni vaghi e fluttuanti, sarebbe somma imprudenza e ridurrebbe la teologia ad essere una canna agitata dal vento.[lxxii]

d) L'irenismo. Corollario di questo pericolosissimo e falso atteg giamento di pensiero riguardo al dogma e forse anche suo ultimo intento, è il cosidetto irenismo, pur esso espressamente condannato dalla Humani generis. Esso consiste, per esprimerci cosi, in una specie di comprehensiveness, con cui andar incontro all'avversario a qualsiasi costo, anche con concessioni dottrinali, se fosse il caso, pur di raggiungere un accordo su alcuni punti stimati essenziali. La Chiesa romana quindi sarebbe chiamata a rinunciare alla sua rigida intransigenza e tendere la mano da una parte alle chiese dissidenti e dall'altra alle moderne cor renti di pensiero, specialmente alla più virulenta di tutte: al marxismo.

Benchè sia vero, come scriveva il P. Boyer, che nel campo prote stante «un gran numero di essi si orienta verso l'unità, considerando le proprie divisioni come uno scandalo»; e che l'antipatia verso Roma sia diminuita fino al punto da trasmutarsi in stima e quasi in nostalgia del ritorno, 80 tuttavia la fretta e lo zelo poco illuminato di non pochi cattolici ha determinato sconfinamenti riprovevoli o almeno discutibili.[lxxiii]

In Germania il noto scrittore Carlo Adam parla per tre giorni nella Chiesa protestante di S. Marco in Stuttgart, abbandonandosi ad affer mazioni bisognose di precisazione[lxxiv]; in Munich Dom Ugo Lang (O. S. B.) fonda un istituto sulla riforma protestante allo scopo di avvicinare per mezzo della scienza la chiesa protestante e quella cattolica, preparando cosi il cammino alla mutua comprensione. Secondo Heinz Barth, in casi isolati si arriva tino alla communicatio in sacris espressamente proibita dai sacri canoni. In alcuni circoli misti di studio si propone ai prote stanti come tema: «Se il quadro istituzionale della chiesa romana non sia cosa voluta da Cristo; e alla lor volta ai cattolici: «Se il messaggio di Lutero sull'amore gratuito non sia qualche cosa di essenziale al cri stianesimo». Si assegna inoltre come mezzo di pacificazione la corre zione da ambo le parti dei manuali di religione, perchè, scrive Irenikon: << Oggi è necessario un testo, che, risultando dalla collaborazione pacifica degli uomini di scienza di diverse confessioni, contribuisca a stabilire unvero dialogo tra i cristiani».[lxxv]

<<La Francia, scrive il P. Damboriena, sta elaborando per mezzo di alcuni dei suoi teologi una ecclesiologia tipicamente unionista; appog gia in riviste e conferenze la distruzione di barriere ingiustamente alzate di fronte ai nostri fratelli dissidenti; cerca in formule nuancées l'avvi cinamento di ideologie dottrinali finora divergenti; suggerisce che Roma si svincoli dal suo eccessivo ginridismo, ostacolo principale di una intesa cordiale coi dissidenti;[lxxvi] e unisca la sua voce al patrocinatori di una sa piente revisione storica delle origini della Riforma >>.[lxxvii] II P. Daniélou è d'opinione che di giorno in giorno cresce il numero dei cattolici convinti della necessità di riforme nella Chiesa per liberare la verità dogmatica del primato romano da tutti i residui dell'imperialismo latino, i quali però tacciono per mancanza di audacia nel protestare e di coraggio nell'agire. Nelle Settimane cattoliche per l'unità tenutesi in Le Havre (1946-1948)[lxxviii] un conferenziere affermò che il genuino concetto di chiesa, inteso secondo la dottrina romana, potrebbe convenire alla grande comunità anglicana. Dopo un'altra conferenza sopra la tragedia della[lxxix] Riforma non mancarono protestanti presenti che trassero la conclusione:

«La Chiesa Cattolica è capace di un esame di coscienza e di riconoscere il genio religioso di Lutero ».[lxxx] Infine, col P. Congar, molti pensano che la Chiesa Cattolica, con l'accessione dei dissidenti, acquisterebbe qualche cosa di molto importante, di cui ancora è priva. Il luterano apporterebbe un senso più profondo della gratuità della grazia; il calvinista un con tatto più intimo con la Bibbia; l'anglicano una maggiore austerità li turgica; e gli slavi un più vivo sentimento della mistica.[lxxxi]

Analogamente a questa presa di posizione riguardo ai fratelli dissidenti, altri credono di trovare una via comune con le ideologie moderne, specialmente col marxismo. L'illusione di Franco Rodano di conciliare marxismo e cattolicismo è ripetuta dai Cristiani progressisti di Fran cia; e il P. Desroches col libro: Signification du maraisme sta a di mostrare con quale sorprendente superficialità si esamini questa dottrina deleteria e come si possa avere ancora l'imperdonabile ingenuità di vo ler trovare una via di conciliazione con essa, dopo la parola così chiara della « Divini Redemptoris ».[lxxxii]

La documentazione potrebbe continuare a lungo. Ma bastano anche questi brevi accenni per mostrare chiaramente l'opportunità del richiamo della recente enciclica sul grave pericolo, mascherato di virtù e zelo, co stituito da coloro a qui humani generis discordiam ac mentium confusio nem deplorantes, imprudenti animorum studio permoti, impetu quodam moventur atque impenso desiderio flagrant infringendi saepta, quibus probi honestique viri invicem disiunguntur, irenismum talem am. plectentes ut, quaestionibus missis quae homines separant, non modo respiciant ad irruentem atheismum communibus viribus propulsandum, sed etiam ad opposita in rebus quoque dogmaticis reconcilianda».[lxxxiii]

...

Giunti a questo punto sarebbe mancanza di onestà scientifica, se non ci rivolgessimo una domanda e non cercassimo di rispondervi con stretta oggettività.[lxxxiv]

Nonostante le ombre e le deviazioni denunciate dall'enciclica Humani generis,[lxxxv] la teologia nuova possiede qualche cosa di positivo e di buono? Nessuno può negare che questa è una interrogazione delicata, perchè una illustrazione dei valori positivi della teologia nuova potrebbe essere interpretata come un simpatizzare per essa. Dopo però la critica che precede, credo, sia impossibile una tale conclusione a nostro riguardo; e perciò esprimiamo fiduciosamente il nostro pensiero.

La produzione letteraria provocata dalla teologia nuova, a nostro giudizio, non è ciò che costituisce l'elemento positivo di essa. Non si tratta infatti di una equilibrata sintesi dogmatica rispondente alle giu. ste esigenze del pensiero moderno, ma piuttosto di trattazioni frammentarie, con infiltrazioni di vari errori e con posizioni spinte, dimodochè non si può parlare di un vero e importante apporto teologico, degno di considerazione.

Invece non si può non riconoscere un elemento positivo nella tendenza generale e nell'ansia di questo movimento a qualche cosa di nuovo e di moderno. È vero che tale tendenza ed ansia verso la modernità è ri provevole in quanto si risolve in sfiducia nel Magistero e in di. sprezzo della scolastica; ma è pur vero che in se stesso, contenuto nei giusti limiti, e in quanto scuote da ciò che chiamerei la fossiliz zione della teologia, è grandemente salutare. Si deve ammettere, pur non esagerando, che non poche volte l'insegnamento orale e scritto della teologia assume l'aspetto e il suono di disco ripetuto eccessivamente, senza che la dottrina diventi viva ed attuale nella mente e sulla bocca. dei suoi portatori. Sottolineare perciò nell'assillante travaglio moderno l'impellente bisogno di meglio agguerrirci alla lotta, attingendo alle fonti ricchissime della Scrittura e dei Padri, imparando da quest'ultimi la freschezza del metodo, purchè non si disprezzi o diminuisca il valore formativo della scolastica (specialmente di S. Tommaso), è senza dubbio un grande merito della teologia nuova, che è lealtà riconoscere. D'altra parte molti problemi sorgono oggi completamente ignoti ieri. L'amore del nuovo è forza preziosa per affrontarli coraggiosamente, sia scuotendo l'inerzia di chi si trincera nella torre d'avorio dei suoi schemi chiusi, sia richiamando con rinnovata insistenza a cercare la luce nelle fonti della rivelazione.[lxxxvi]

Anche l'Humani generis riconosce questo elemento positivo della teologia nuova, quando esorta i teologi a progredire nelle discipline da loro insegnate. Non è quindi l'enciclica una spranga di ferro contro il progresso, ma solo una misura necessaria, perchè esso sia contenuto en tro le sponde della verità e dell'equilibrio.[lxxxvii]

Papini dicendo che i teologi, dopo S. Tommaso e Suarez, non sono che ripetitori: diligenti, accurati, eruditi, ma sempre e solo ripetitori, esagera, secondo il suo vezzo, e generalizza oltre il dovuto. Tuttavia è innegabile che esiste una rilevante abbondanza di libri e trattati imparentati gli uni con gli altri, privi di originalità e di vitalità, impresentabili all'nomo moderno. Naturalmente per una sfolgorante ripresa teologica basterebbe un genio, come l'ebbe il medioevo con S. Tommaso. Ma la teologia nuova pone la questione: se anche, senza attendere questo genio, che non sta in mano nostra di produrre, con lo sforzo unanime di tutti non sia possibile ringiovanire la teologia, fino a renderla simpatica all'uomo di oggi, affinchè essa possa trovarsi nel mondo non come un'intrusa o una schiava, ma come una signora e regina. In questa nobile aspi razione, ci sembra, sta il grande merito della teologia nuova.

 

CONCLUSIONE

 

Dal rapido e naturalmente imperfetto sguardo dato alla teologia nuova possiamo conchiudere che il problema della rinascita degli studi e del pensiero teologico è una questione reale, attuale, urgente, già sen tita dalla «Deus scientiarum Dominus;[lxxxviii] che un ritorno alle fonti del cristianesimo, in linea di massima, è certamente utile e benefico. Perciò la conoscenza maggiore e maggiormente illuminata della Scrit tura, dei Padri e della liturgia può scoprire ai teologi preziose ricchezze, con cui dare concretezza al proprio insegnamento e rivelare metodi di apostolato e di studio opportunamente adattabili ai nostri tempi. È ne cessario inoltre che la teologia non si precida ogni contatto con la vita e col mondo della cultura. Essa deve fare lo sforzo di studiare e di tener conto del bene raggiunto e perfino deve interessarsi degli errori e delle aberrazioni moderne, investigandone le determinanti, per opporre ad esse nel suo pieno fulgore la verità. È doveroso perciò aggiornare i me todi e le industrie di studio, di presentazione del pensiero teologico e di utilizzazione di ogni fondo di verità che ogni errore, per quanto errato, contiene. A tale scopo va ricordato che la philosophia perennis oggi at tira l'attenzione dei dotti: una opportuna e tempestiva valorizzazione dei nostri grandi filosofi (a volte, purtroppo! ignorati), tra gli altri vantaggi ci metterebbe in mano un metodo positivo di combattimento, un metodo, direi, di assalto. Tanto più che, volere o no, tutte le volte che ci occupiamo degli autori eterodossi, contribuiamo a far loro la réclame e conseguentemente ci rendiamo sempre più difficile il nostro compito di cristianizzazione.

Però non possiamo ammettere quel senso di sfiducia nella scolastica e nella teologia speculativa, come si trova nei propugnatori della teolo gia nuova; quel patrocinare uno sfruttamento della filosofia contempo ranea, che possa comportare una concessione anche minima della verità; quell'accarezzare l'utopia di un relativismo dogmatico e di un depreca bile irenismo, con cui battezzare la filosofia eterodossa: in una parola tutti e singoli gli errori, le posizioni e gli atteggiamenti equivoci e peri colosi, che l'eccessivo zelo ha suggerito agli autori della nuova teologia. In particolare dispiace l'asserzione che repugni lo stato di natura pura: cioè che Dio non avrebbe potuto o non potrebbe creare un essere spiri tuale e razionale senza elevarlo allo stato soprannaturale, asserzione sconosciuta alla genuina dottrina cattolica, inconciliabile con la libertà e onnipotenza divina e col genuino concetto di soprannaturale; cosi pure l'aperta simpatia espressa dalla teologia nuova verso l'idea evoluzionista e le lodi tributate copiosamente al P. Teilhard de Chardin, il quale non consta essere l'autore più equilibrato nel pensare il cattolicismo in funzione dell'evoluzionismo biologico. Infine non si può non sentire profondissima pena per la rivelazione di uno scandalo dottrinale quale è quello dei fogli ereticali clandestini, sparsi tra i laici, il clero e i seminaristi francesi.

II S. Padre nell'allocuzione del 17 settembre 1946 ai Gesuiti e in quella del 22 settembre pure del 1946 ai Domenicani raccomanda agli uni e agli altri di evitare gli estremi, ma di mantenersi fedeli alla via di un sano e prudente progresso. Quelle direttive preziose del supremo Pastore, come quelle ancora più esplicite dell'« Humani generis » possano trovare in tutti la perfetta docilità e sottomissione, affinchè la Chiesa, stendendo pietosamente il manto materno sugli erranti, abbia la gioia di veder rifiorire la teologia e di evitare la dolorosa rovina di un neo-modernismo.

Cuglieri, 10 ottobre 1950.

ANGELO PEREGO, S. J.



[i] PAPINI G., Lettere di Celestino VI. Vallecchi, 1946. Lettera ai teologi.

[ii] Giov., 1, 9.

[iii] AAS», 1946, 381-389.

[iv] Ciencia y Fe», Enero-marzo, 1949, 7-30.

[v] Del P. Delaye era stato ordinato il ritiro del libro: Qu'est-ce qu'un catholique?, Paris, Spes, 1950.

[vi] Il Giornale d'Italia, 11 luglio 1950.

[vii] AAS», 1950, 561-578.

[viii] Citato da DANIELOU J., Les orientationes présentes de la pensée religieuse. In Etudes, avril 1946, p. 5.

[ix] Le Saulchoir, 1937.

[x] Thuillies Ramgal, 1938.

[xi] AAS», 1942, 37. Contro queste opere scrissero lo ZAPELENA: Problema theologicum, Gregorianum, 1943, 23-47; 287-336; 1944, 38-73; 247-282; e il LABOURDETTE: La théologie intelligence de la foi, Revue Thomiste, 1946, 5-44.

[xii] DANIELOU J., Les orientations présentes de la pensée religieuse. In Etudes», avril 1946, inizio. Oltre questo articolo le opere più notate sotto questo punto di vista sono le due in collezioni: Sources Chrétiennes (Ed. du Cerf, Paris), sotto la direzione dei gesuiti H. de Lubac e J. Daniélou; e Théologie (Ed. Montaigne, Paris), della quale il de Lubac e il Daniélou sono collaboratori.

[xiii] ROUQUETTE R., Evangélisation, 1947. In Etudes, 1947, mai, p. 243. Alla stessa conclusione arrivano molti altri pubblicisti. Cf. GODIN, France pays de mission, Paris, 1943.- DUPOUEY M., L'Eglise va-t-elle émigrer? In Esprit, 1° maggio, 1946. MOUNIER E., Agonie  du Christianisme. In Esprit, 10 maggio 1946. BARJON, Quand les Chrétiens s'accusent. In Etudes, maggio 1946. D'OUINCE R., Les réformateurs de l'Eglise. In Etudes, novembre 1946, 145-151. (Ammette l'urgenza e la ragionevolezza di denunziare il bisogno di riforme, ma esorta alla prudenza e alla fedeltà alla Chiesa). PAROISSE, Chrétienté commulado en Francia. In Razón y Fe, dicembre, 1949, 362-379. nautaire et missionnaire, Paris, Union des oeuvres de France, 1946, pp. 294. (Resoconto completo del Congresso nazionale di Besançon, 1946). GRANERO J. M. (S. J.), Nuevo aposto.

[xiv] Of. JUNGMANN J. A., Kerygmatische Fragen. In ZKT, 65 (1941), 153-160. In questo articolo vedi anche bibliografia al riguardo.

[xv] CONGAR Y., art. cit., febbr. 1948, p. 210. Idee analoghe esprime il CONGAR, in Sacer. doce et Laicat dans l'Eglise (Paris, Ed. du Vitrail, 1947). Rythme de l'Eglise et du monde. In La Vie intellectuelle, aprile 1946. Cf. anche ROUQUETTE R., Problème d'apostolat. In Etudes, maggio 1948, pp. 239-246.

[xvi] BERTRAMS W. (S. J.), Die Eigennatur des Kirchenrechts. In Gregorianum, 1946, pp. 527-566.

[xvii] Cf., per esempio, la Costituzione Provida Mater Ecclesia (2 febbraio 1947), il Motu proprio Primo feliciters (12 marzo 1948), e l'Istruzione della S. C. dei Religiosi: De In. stitutis saecularibus» (19 marzo 1948). Vedi anche Les Instituts séculiers. In Ephemerides Theol. Lovan., 1948, pp. 456-462; e la bibliografia: ivi, 1950, p. 263.

[xviii] Oltre l'orientamento verso l'elaborazione di una teologia del laicato per aprire il mondo al soprannaturale, si addita pure nella liturgia un potentissimo mezzo per raggiungere la massa e ringiovanire lo stesso clero, però spogliata delle sue forme antiquate, perchè quando la comprensione dei riti scompare, si giunge alla superstizione, a ciò che resta materialmente di ciò che fu un giorno vivente. (DONCOEUR P., Etapes décisives de l'effort liturgique contemporain. In Etudes, novembre 1948, p. 203). L'enciclica Mediator Des (AAS, 1947, p. 521 ss.) abbastanza chiaramente denuncia gli estremi pericolosi, a cui può portare un liturgismo guidato da desiderio di novità e da zelo imprudente. Non è il caso di soffermarci sulle deviazioni in questo settore, che potrebbero essere imputate alla teologia nuova.

[xix] POUCEL V., Mystique de la terre. Le Puy, Ed. Xavier Mappus, 1937-1945. (Opera in dieci parti comparse in diverso tempo).

[xx] DANIELOU J., Les orientations présentes de la pensée religieuse. In Etudes, apri le 1946, p. 15.

[xxi] DE SOLAGES B., Pour l'honneur de la théologie. In Bulletin de Littérature ecol.»,

[xxii] La Humani generis parla infatti di una espressione del dogma con le nozioni della filosofia moderna. (AAS, 1950, pp. 565-566).

[xxiii] I Cor., 2, 4.

[xxiv] THILS G., Théologie des réalités terrestres. Bruges, Desclée de Brouwer, 19471947, p. 83. 95 DANIELOU J., art. cit., pp. 13-14.

[xxv] Etudes, febbraio 1946, p. 225.

[xxvi] Ibid., aprile 1946. Il Labourdette nello studio critico sulle due collezioni: Sources chrétiennese Théologie si richiama frequentemente a questo articolo. (Cf. Dialogue théo logique, Les Arcades, Saint-Maximin, Var, 1947).

[xxvii] Paris, Montaigne, 1944.

[xxviii] DANIELOU J., art. cit., p. 15.

[xxix] Secondo Etienne Borne noi saremmo in una grande epoca di creazione metafisica, nella quale gli apporti dell' hegelismo, del bergsonianismo e dell'esistenzialismo arricchiscono la metafisica tradizionale, attestando i progressi dell'intelligenza nella ricerca del. l'essere. (Cf. La semaine des intellectuels français. In Etudes, luglio-agosto 1949, p. 110).

[xxx] BOUILLARD H., Conversion et grâce chez 8. Thomas d'Aquin, Paris, Montaigne, 1944, p. 219. Idee analoghe a quelle del P. Daniélou e del P. Bouillard si trovano esposte in molti altri libri ed articoli di scrittori francesi. (Cf. per esempio: MONTUOLARD, Médiation de l'Eglise et Médiation de l'histoire; e gli articoli: Théologie et l'histoire. In Dieu vivant, VIII, 39 ss.; Christianisme et histoire. In Etudes, settembre 1947, p. 175 ss.; Eglise et histoire. In Jeunesse de l'Eglise, VII, 9 88.).  La sfiducia nel passato è evidente anche nel campo ascetico: si parla di un tipo di spiritualità e di santità fondata sull'uso e il potenziamento di ogni lecita soddisfazione, senza tuelle del 1946 intitolato: Vers quel type de sainteté allons-nous?; l'articolo di A. LANZ (S. J.), Umanesimo cristiano e perfezione spirituale (Gregorianum, 28, 1947, 134 вв.); e l'altro più bisogno della mortificazione. (Cf. a tale riguardo il numero speciale di La Vie spiridel P. RAHNER K. (S. J.), Situationsethik u. Sündenmystik ( Stimmen der Zeit», 1950, 330342), in cui si espone e si confuta una specie di morbiden Sündenmystik.

[xxxi] Angelicum, 23, 1946, 126-145. Tra i primi a reagire al nuovo movimento teologico è il P. M.-M. Labourdette (O. P.), il quale in uno studio critico apparso su << Revue Thomiste (maggio agosto, 1946, 353-371) con molta serenità e dignità mette in guardia dalle pericolose direzioni, verso le quali la nuova teologia s'incamminava. All'articolo del Labourdette i sostenitori della teologia nuova risposero altezzosamente con un articolo ano nimo su Recherches de science religieuse (1946, IV, 385-401), al quale il P. M.-J. Nico. laa (O. P.) rispondeva nell'opuscolo: Dialogue Théologique (Les Arcades, Saint-Maximin, Var, 101-140).

[xxxii] Art. cit., p. 131. Le proposizioni riportate sono: la quinta e la duodecima.

[xxxiii] Veritas non invenitur in ullo actu particulari intellectus in quo haberetur conformitas cum obiecto, ut aiunt scholastici, sed veritas est semper in fieri, consistitque in adaequatione progressiva intellectus et vitae, scilicet in motu quodam perpetuo, quo intellectus evolvere et explicare nititur id quod parit experientia vel exigit actio: ea tamen lege ut in toto progreasu nihil umquam ratum fizumque habeatur.  12. A) Etiam post fidem conceptam, homo non debet quiescere in dogmatibus religionis, eisque fize et immobiliter adhaerere, sed semper anzius manere progrediendi ad ulteriorem veritatem, nempe evolvendo in novos sensus, imo et corrigendo id quod credit. (Cf. Monitore Ecclesiastico», 1925, 194).

[xxxiv] LUBAC (DE) H., Surnaturel, Paris, Montaigne, 1946.

[xxxv] ..... un garde-fou, mais non pas une reponse (DANIELOU J., Les orientations présentes de la pensée religieuse. In Etudes, maggio 1946, p. 6

[xxxvi] Où va-t-elle si non dans la voie du scepticisme, de la fantaisie et de l'hérésie? (art. cit., р. 134).

[xxxvii] Rom. 5, 19.

[xxxviii] GARRIGOU, art. cit., p. 143.

[xxxix] DE SOLAGES B., Pour l'honneur de la théologie. Le contre-sens du R. P. GarrigouLagrange. In Bulletin de. Littérature ecclésiastique, 1947, 65-84

[xl] Angelicum, 24, 1947, 124-139. Su questo soggetto il Garrigou ritorna a più ri prese  nella stessa rivista. Cf. Les notions consacrées par les Conciles, 1947, 217-230; Nécessité de revenir à la définition traditionnelle de la vérité, 1948, 185-198; L'immutabilité des vérités définies et le surnaturel, 1948, 285-298; L'immutabilité du dogme selon le Concile du Vatican, et le relativisme, 1949, 309-322.

[xli] AAS, 1950, 565.

[xlii] Ci riferiamo all'articolo: Pour l'honneur de la théologie. Le contre-sens du R. P. Garrigou-Lagrange (e Bulletin de littérature ecol, o, 1947, 65-84), in cui si sente la simpatia delI'A. verso un superamento della scolastica. Tuttavia sarà bene ricordare i seguenti suoi scritti: tre scritti sulla metafisica cristiana (Revue Apologétique, 1926); tre articoli sul processo della scolastica (Revue Thomiste, 1927); un altro art.: Une bataille pour la scolastique (The New Scholasticism, aprile 1929); e la seconda parte di: Dialogue sur l'analogie, Paris, Aubier, 1946.

[xliii] Dialogue Théologique, Les Arcades, Saint-Maximin, Var, p. 93.

[xliv] Cf. DANIELOU J., Les orientations présentes de la pensée religieuse. In Etudes, aprile 1946, all'inizio.

[xlv] Etudes, febbraio 1946, 225.

[xlvi] Cf., per esempio, CJC, can. 1366, 2. Constitutio Apostolica: Deus scientiarum Dominus, 24 maggio 1931; Ordinatio S. C. de Seminariis, 12 giugno 1931; AAS, 1946, 387.

[xlvii] Utique, proh dolor, rerum novarum studiosi a scholasticae theologiae contempt ad neglegendum, ac vel etiam ad despiciendum facile transeunt ipsum Magisterium Ecclesiae, quod theologiam illam sua auctoritate tantopere comprobat (AAS, 1950, 567).

[xlviii] Cf. al riguardo VALORI P. (8. J.), Il problema del soprannaturale e gli ultimi scritti di M. Blondel. In La Civiltà Cattolica, I (1949), 161-170; 392-399.

[xlix] RINAUD J., Maurice Blondel. InEtudes luglio-agosto 1949, 111.

[l] Per rendersi conto di queste idee cf., per esempio, H. DE LUBAC, Surnaturel, Paris, 1946, p. 483 sa. Potrebbe essere interessante un raffronto tra il libro del de Lubac e quello dello Stolz (O. S. B.) uscito nel 1940: Anthropologia Theologica (Friburgi Br., 1940), fortemente criticato da B. Schultze (S. I.) in Orientalia Christiana Periodica, 1941, 527-29.

[li] Gennaio 1947.

[lii] HENBI DE LUBAC, Le mystère du surnaturel. In Recherches de science religieuse, 1949, 80-121.

[liii] HENRI DE LUBAC, art. cit., p. 100.

[liv] SCHIFFINI S., Principia philosophica, Augustae Taurinorum, Speirani, 1892, n. 598.

[lv] HENRI DE LUBAC, art, cit., p. 93. 30AAS, 1950, 570.

[lvi] Meraviglia e rattrista il vedere l'incertezza e la servilità anche di professori di teologia di fronte agli scritti del de Lubac. A modo di esempio si consideri il seguente periodo del P. Luciano Roy (S. J.): «Appuyée sur cette puissance obédientelle, la grâce prolonge les aspirations de la nature et fait naître en elle par activité surnaturelle le désir naturel de voir Dieu. (Désir naturel de voir Dieu. Le R. P. de Lubac et a. Thomas. In Sciences ecclésiastiques, 1948, 141). Davvero è qualche cosa di prodigioso questo desiderio naturale di veder Dio, che è frutto di un'attività soprannaturale!!!.... Tanto può il timore di apparire arretrati ( AAS, 1950, 564) nel sostenere decisamente la dottrina tradizionale certa! Riesce invece di grande onore dell'Università Gregoriana l'aver subito preso posizione tenutasi alla Gregoriana (20-25 settembre 1948) il P. De Broglie (S. J.) dimostrò con acu netta contro gli errori del de Lubac. Già nel 1947, neppure un anno dopo la pubblicazione del Surnaturel in una disputa solenne si difendevano le seguenti tesi: Ez fontibus revelationis constat dona a Deo hominibus collata dividi in naturalia et supernaturalia. Dona supernaturalia, quamvis maxime conveniant naturae humanae eamque perficiant, tamen sunt ei plane indebita, nullusque datur appetitus naturalis absolutus talium donorum. Neque ex parte Dei, sive de Ejus potentia absoluta, sive de Ejus potentia ordinata, datur necessitas illa conferendi, Libere ergo et non infallibiliter Deus voluit his donis primum hominem exornare. Potuit enim ipsum condere in statu naturae purae (2 maggio 1947). Lo stesso anno il P. Carlo Boyer con serrata e coraggiosa critica attaccava il libro del de Lubae, impugnandone il valore storico e speculativo (Gregorianum, 1947, 379-395); e l'anno dopo, nella settimana teologica tezza la falsità della tesi del de Lubac (Cf. Gregorianum, 1948, 435-463). Del P. De Broglie è anche l'eccellente opera: De fine ultimo humanae vitae (Paris, Besuchesne, 1948).

[lvii] Alla questione del soprannaturale si connette come punto di sbocco assai ovvio quella dei praeambula fidei. Rinasce quindi l'opinione del P. Rousselot, sotto altre forme, come è il caso di R. Aubert (Le problème de l'acte de foi. Données traditionnelles et résultats des controverses récentes, Louvain, Varny, 1945). Egli verrebbe a dire che i motivi di credibi lità in qualche caso non sono necessari. L'assenso può essere determinato dalla grazia. Il miracolo ha valore obiettivo, ma non sempre soggettivo; e quindi la grazia può supplire. Gli si può domandare: Quale grazia può supplire i motivi di credibilità? Quella ordinaria? Non pare. Quella straordinaria, cioè l'illuminazione miracolosa Ma allora siamo fuori que. stione. (Cf. anche LEVIE J. (8. J.), Sous les yeux de l'incroyant, Paris, Desclée, 1944. Museum Lessianum, Section théologique, n. 40).

[lviii] Paris, Aubier 1944.

[lix] Recherches de science religieuse, 1948, 130-160. ІП P. Fr. Spedalieri, illustre professore della Gregoriana e già professore nella Facoltà Teologica di Cuglieri, confutó brillantemente questo scritto del de Lubac nella dissertazione: De fidei apostolicitate ac dogmatum progressu (cf. SPEDALIERI Fr. (S. J.), Selectae et breviores philosophiae ac theologiae controversias, Romae, Catholic Book Agency, 1950, pp. 87-122).

[lx] <<Etudes>>. Aprile 1946.

[lxi] Le théologie de s. Thomas et la grâce actuelle. In Année théologique, 1945, 279 вв.

[lxii] Ou va-t-elle la nouvelle théologie? In Angelicum, 1946, 126-145; Vérité et immutabilité du dogme, Ib.. 1947, 124-139; Les notions consacrées par les Conciles. Ib., 1947, 217230; Nécessité de revenir à la définition traditionnelle de la vérité. Ib., 1948, 185-198;L'im mutabilité des vérités définies et le surnaturel. Ib., 1948, 285-298; L'immutabilité du dogme selon le Concile du Vatican, et le relativisme. Ib., 1949, 309-322.

[lxiii] LABOURDETTE M. (O. P.), L'analogie de la vérité et l'unité de la science théologique. In Revue Thomiste, 1947, 417-466.

[lxiv] Selectae et breviores philosophiae ac theologiae controversiae, Romae, Catholic Book Agency, 1950, 87-122.

[lxv] LE BLOND, art. cit., I. c., p. 130. 11 Ibid., pp. 133-134.

[lxvi] LE BLOND, art, cit., pp. 135-136.

[lxvii] Ibid., p. 141.

[lxviii] LABOURDETTE, art, cit., pp. 421-422.

[lxix] Veritas intellectus nostri tri est secundum quod conformatur 8110 principio, scilicet rebus, a quibus cognitionem accipit (S. ТомMASO, Somma teologica, I, 16, 5 ad 2).

[lxx] LABOURDETTE, art. cit., p. 460.

[lxxi] .... l'abandon pur et simple du langage scolastique et même de son plus essential procédé d'exposition serait pour la philosophie chrétienne la perte d'une de ses grandes forces. Il faudrait seulement l'enrichir incessament de tout ce qui est devenu commun et classique dans la philosophie moderne dont beaucoup de mots sont susceptibles de trouver un sens fixe dans l'ensemble de la synthèse thomiste élargie qui s'impose (LABOURDETTE, art. c., pp. 462-463).

[lxxii] AAS, 1950, 567-569.

[lxxiii] La Croix, 26 gennaio 1950.

[lxxiv] Il vescovo luterano Bergrav pensa che, dopo l'istruzione del S. Officio del 29 dicembre 1949, la barriera di ghiaccio sia rotta (Vers l'unité chrétienne, avril 1950, p. 11): l'arcivescovo di Cantorbery, pur con molte riserve, nel discorso di Londra si rallegra del fatto che si apre una possibilità di discussione su materie propriamente teologiche. (Cf. in Church Times, 10 marzo 1950, 177 ss. il testo integrale del discorso). In modo analogo ai esprime il vescovo protestante Lilije, vicepresidente della chiesa evangelica tedesca. (Cf. Die Bedeutung des Dekrets über di Oekumenische Bewegung. Herder-Korrespondenz, aprile 1950, 327).

[lxxv] Cf. Unitas, 1949, 156-159. 88 Irenikon, 1947, 324.

[lxxvi] Cf. <<Unitas>> 1949, 156-159.

[lxxvii] << Irenilcon >> 1947, 324.

[lxxviii] DAMBORIENA, Roma y el coumenismo. In Razón y Fes, luglio-agosto 1950, p. 93.

[lxxix] Documentation Catholique, 12, II, 1950, 221.

[lxxx] Cf. Le vie intellectuelle, 1948, 315 ss.

[lxxxi] Cf. Unitas, 1947, 336.

[lxxxii] Franco Rodano era il capo del Movimento Cattolico Comunista, sorto in Roma nel 1944, mutatosi poi nel Partito della Sinistra Cristiana e finalmente discioltosi.

[lxxxiii] Cf. FESSARD G., Le christianisme des chrétiens progressistes. In Etudes, gennaio 1949, 65 ss. Vedi anche la corrispondenza tra Fessard e Mounier al riguardo (Etudes, stessovolume, p. 389

[lxxxiv] 19 marzo 1937, AAS, 22 (1937), 65-106. Recentissimo è poi il Decreto del S. Officio del 1° luglio 1949 e promulgato il 13 luglio negli AAS, 41 (1949), 334.

[lxxxv] AAS, 1950, 564. Cf. anche 578.

[lxxxvi] Nitantur utique omni vi omnique contentione ut disciplinas, quas tradunt, provehant; sed caveant etiam ne limites transgrediantur a Nobis statutos ad veritatem fidei ac doctrinae catholicae tuendam (AAS, 1950, 578).

[lxxxvii] PAPINI G., Lettere di Celestino VI, Firenze, Vallecchi, 1946, pp. 68-69.

[lxxxviii] 24 maggio 1931; cf. anche le Ordinationes S. C. de Seminariis, 12 giugno 1931.

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